Lo spreco di cibo

Lo spreco di cibo è uno dei più grandi problemi a livello mondiale da 60 anni a questa parte, a scapito dell’ambiente e… del nostro portafoglio.

Tra i grandi problemi che affliggono il nostro tempo sicuramente possiamo annoverare lo spreco del cibo, azione che non implica solo una riflessione etica ma diventa un’emergenza in quanto le risorse naturali sono alquanto limitate e per tale motivo è necessario assumere un comportamento sostenibile… per l’ambiente e per il nostro sostentamento in futuro.

I dati ad oggi in nostro possesso, diffusi dalla FAO (Food and Agricolture Organization) ci dimostrano che il 40% di tutto quello che viene coltivato e allevato in realtà non viene mangiato. A livello globale, degli 1.3 miliardi di tonnellate all’anno di cibo prodotto, circa un terzo non viene consumato.

La cosa avviene in tutto il sistema e comprende tutta la filiera dal produttore al consumatore: il 22% è la parte che va a finire nella pattumiera casalingamentre il resto va perduto lungo la filiera alimentare (produzione, raccoltatrasformazione e distribuzione). Per logica, se viene buttato via un terzo delle risorse di cibo mondiali e bisogna aumentare la disponibilità di cibo dove serve, tagliare gli sprechi è una cosa molto semplice e doverosa da cui iniziare.

Una questione morale

Nell’epoca moderna si è instaurata la convinzione errata che buttare via qualcosa non sia grave, specialmente il cibo per il suo essere biodegradabile. Se da una parte è vero, il problema si pone quando si butta tutto insieme e si decompone senz’aria in una discarica. Questa condizione anaerobica dà origine a gas molto potenti, tra cui il metano, che vanno ad incrementare l’azione dell’effetto serra, quel fenomeno di riscaldamento globale del nostro pianeta dovuto alla presenza di alcuni gas nell’atmosfera terrestre.

Portare il cibo in una discarica è comunque un grande spreco di risorse, perché potrebbe essere una risorsa che potrebbe essere riutilizzata. Immaginiamo una sorta di gerarchia di utilizzi del cibo:

  • in cima c’è il nutrimento delle persone, che non è solo nutrire la propria famiglia, ma anche donare cibo;
  • poi c’è la fornitura di ristoranti e supermercati: quel che non nutre la gente può nutrire gli animali con scarti di cibo e rifiuti che abbiamo a disposizione;
  • se non è possibile, creare energia è la cosa migliore da fare: compostare, quindi restituire le risorse alla terra;
  • solo se non si può fare nessuna di queste cose si dovrebbe arrivare all’uso di discariche e inceneritori o degli impianti di depurazione delle acque reflue.

In realtà purtroppo ci si comporta diversamente e la maggior parte degli scarti di cibo finisce in discarica. Negli Stati Uniti il 97% del cibo che viene buttato finisce in discariche o inceneritori, la Cina circa il 10% ma le previsioni portano a pensare che presto si adeguerà ai valori dell’occidente. In Italia? Si viaggia sui 6,6 milioni di tonnellate, tanto che a fare i conti della serva risulta uno spreco di 108 kg/anno per abitante. Ci vuole un sistema forte per garantire che gli scarti di cibo vengano riciclati, servano a nutrire il bestiame e diventino una risorsa utile.

Fare la spesa

Quando su fa la spesa e magari si è anche di fretta, è facile dimenticare cosa si ha già in casa in frigo e in dispensa. Si riempie il carrello e si accumula cibo nel frigo. Ma nel frigo è probabile che si trovino anche contenitori con gli avanzi di pasti del giorno prima… non c’è niente che non va e probabilmente saranno pure buoni, ma spesso rimangono lì… Il fatto che oggi si abbia ancora un buon potere economico per comprare quel che si vuole quando si vuole in parte è sinonimo di una società benestante ma… questo continuo rifornirsi senza consumare quel che già porta inevitabilmente al punto che diventa impossibile usare tutto prima che vada a male. Uno studio fatto a New York sui rifiuti di cibo di una contea ha rivelato chela maggior parte proveniva dalle case, più che dai ristoranti, dai supermercati o dalle fattorie. Nelle nostre case, infatti, finisce nel bidone della spazzatura tra il 15 e il 25% del cibo acquistato… Immaginiamo di uscire dal supermercato con quattro sacchetti di provviste, uno cade nel parcheggio e non lo si raccoglie. È la metafora di quella percentuale nominata poco sopra.

È buono ciò che non è bello?

La maggior parte degli acquirenti che vanno a fare la spesa guarda sempre molto al valore e all’apparenza estetica del cibo che acquistano, pensando spesso erroneamente che “più è bello, più è buono”. Nel complesso, comunque, al mercato tanta materia prima non si vende solo perché ha un piccolo difetto o qualcosa che non va esteticamente. Non tutte le mele crescono perfettamente rosse e tonde… e se ci aspettiamo questo quando entriamo in un negozio, stiamo già producendo rifiuti. I negozi sono molto attenti all’estetica del cibo esposto e non vogliono rovinarsi l’immagine con uno scaffale delle offerte o prodotti che non siano perfetti.

In base a parametri estetici e canonici imposti dagli stati, non è raro imbattersi in interi camion di ortaggi o frutta scartati solo perché non rientravano in quei “numeri” e “aspettative estetiche” e tali parametri devono essere rispettati perché siano tutti uguali.

Il surplus figlio dell’austerità

L’abbondanza è la storia del successo dell’umanità. Ripensando alla nascita dell’agricoltura, 10-12 mila anni fa, si trattava di creare un surplus, di produrre più cibo di quanto ne servisse in quel momento. Questo permetteva di conservare il cibo per l’inverno, di avere scorte in caso di raccolti infruttuosi, di scambiare cibo e fare feste, che sono da sempre un aspetto molto importante della società umana. Erano cose bellissime e in passato, se avevi più surplus di quello che riuscivi a usare, forse non era un problema.

Il problema è oggi quando tutti i paesi ricchi del mondo, in nord America e nord Europa, hanno tra il 150 e il 200% del cibo che gli serve. Le persone spesso sono portate a credere che i problemi ambientali riguardino le tasse sull’inquinamento, le strade, le fabbriche, le città e il cemento… che ovviamente sono importanti. Ma se guardiamo la terra dal cielo, quel che vediamo sono i campi ed è su quelli che abbiamo avuto il maggiore impatto. Sprecare un terzo della terra e dell’energia attualmente utilizzate sprecando il cibo che produciamo è uno degli aspetti più ingiustificati della cultura moderna. Attualmente sprechiamo la nostra terra per produrre cibo che nessuno mangia.

L’ultima volta che ci hanno chiesto di non buttare via il cibo è stato durante la Seconda Guerra Mondiale. Bisognava sacrificarsi per il paese, per lo sforzo bellico. C’erano manifesti che dicevano: “Il cibo è un’arma, non sprecarlo!” e ogni tipo di propaganda per convincere la gente a non sprecare cibo. E da allora, con il boom economico degli anni ‘50 e ‘60 è successo l’opposto. A un tratto il cibo ha iniziato a diventare più abbondante ed economico, il concetto di quale sia una quantità di cibo ragionevole è cambiato: l’idea di porzioni più abbondanti è entrata nelle nostre case e adesso serviamo troppo cibo ad amici e parenti. Viviamo nella cultura dell’abbondanza. Essere un bravo ospite significa avere cibo più che in abbondanza per tutti e se ti trovi nella situazione in cui hai ospiti e alla fine del pasto è finito tutto, ti sembra di non essere un bravo padrone di casa.

Lo spreco raccontato dai produttori

Per coltivare il cibo si inizia con la terra e con la luce del sole. Le piante crescono, i prodotti vengono raccolti e poi confezionati. “Bisogna” scegliere quelli che corrispondono agli standard dei supermercati, eliminando di conseguenza un gran quantitativo di cibo. In seguito, con la distribuzione, dovrà sopravvivere a un lungo viaggio per raggiungere i negozi. Poi resterà su uno scaffale e una parte verrà buttata anche lì. Infine c’è il cliente che sceglie quel che gli piace di più. Ecco il vincitore, il cibo scelto… o forse, perché sì arriva nelle case ma poi chissà cosa gli succede. Quando non viene mangiato, fallisce un intero sistema che è già pieno di sprechi e tutte le energie e le risorse spese per quel prodotto… tutto questo è inutile e sprecato.

Come viene visto e affrontato questo problema? Alcuni produttori hanno raccontato cosa succede nella loro attività che si trovano nei paesi più produttivi del mondo.

«Nella nostra fattoria e in tutte quelle come la nostra, quando abbiamo molti avanzi o un raccolto non va bene, non è un grosso problema. È una perdita di tempo e di soldi, ma non è uno spreco perché comunque li usiamo. Li compostiamo e li rimettiamo nella terra e per noi è importante. A volte dobbiamo comprare il compost, quindi produrlo in proprio è molto utile. Le zucchine sono sempre un buon esempio perché ce ne sono tantissime nel periodo di massima produzione. Se fuori stagione riusciamo appena a soddisfare la domanda, quando è stagione e la produzione raggiunge il massimo ne produciamo il triplo della domanda. Se coltivassimo meno zucchine avremmo meno spreco, ma non saremmo in grado di soddisfare la domanda in primavera e inizio estate e anche verso la fine dell’estate. Noi vendiamo direttamente al consumatore finale, perciò ci sono poche possibilità che il cibo vada a male. Raccogliamo il venerdì e vendiamo il sabato. Può durare due settimane in frigo. Quindi ci saranno più possibilità di usare quella verdura. Lavoriamo 14-16 ore al giorno, 7 giorni su 7 nel periodo del raccolto. La stagione del raccolto è molto concentrata, in questa parte del mondo, perciò dobbiamo darci da fare quando le piante producono, per mettere via abbastanza da sopravvivere in inverno».

«Noi siamo grandi produttori di pesche, prugne e pesche noci. Per darvi un’ideam probabilmente produco un terzo delle pesche prodotte in tutto lo stato della Georgia. Ci sono delle operaie che selezionano la frutta e scartano quella che non verrà confezionata. Cercano segno come questo. Io e lei potremmo mangiarla ma purtroppo non può essere confezionata. L’aspetto conta molto. Questa è commestibile, ma non lo è per i supermercati. Ci sono gli standard statali o federali per i prodotti, ma quelli dei dettaglianti superano di gran lunga quelli imposti dallo stato. La quantità di frutta che viene lasciata nei campi o che viene scartata quando arriva al confezionamento può arrivare anche al 70% e come minimo al 20%. Molte volte viene buttata per motivi che un consumatore troverebbe insensati. Chiamerò la banca del cibo e dirò che posso dargli più roba, questa settimana, perché stiamo buttando via frutta perfettamente commestibile, che non ha niente che non va. Ma non ha mercato. Doniamo molta frutta alla banca del cibo, ma non hanno le capacità o le infrastrutture di gestire le quantità di frutta che possiamo dargli. Un produttore di marmellata ne prende un po’, ma molta viene buttata. Ti si spezza il cuore quando coltivi della frutta che non ha niente che non va, ma non puoi venderla».

«In questo appezzamento di terra coltivo sedano. La macchina taglia la parte delle foglie e gli operai buttano la parte più esterna della costa per ottenere il cuore. Bisogna levare un po’ di gambi per far entrare nella busta. In 30 cm quadrati ci sarà un chilo di scarti. Nessuno di noi è contento dei rifiuti che abbiamo, perché qui c’è un sacco di roba buona da mettere in una zuppa. Ci abbiamo provato, ma non coprivamo neanche i costi per raccoglierli. Ovviamente non era fattibile».

E ce ne sarebbe da raccontare…

Soluzioni ne abbiamo?

Dobbiamo usare la terra con raziocinio, pianificarla e gestirla in modo da nutrire tutti e garantire la salute a lungo termine dell’ecosistema da cui dipendiamo per sopravvivere.

Arare i campi e concimarli è sicuramente utile per il terreno. Gli restituisce nutrienti e lo aiuta a diventare più fertile. Ma se pensiamo alle risorse impiegate per produrre il nostro cibo, se potessimo recuperarlo e darlo a chi ne ha bisogno, faremmo un uso molto migliore di risorse e nutrienti, invece che limitarci a concimare.  

Tra le soluzioni possibili una sarebbe per esempio la “spigolatura” consiste nell’andare nei campi in cui si è già fatto il raccolto per recuperare prodotti che altrimenti diventerebbero concime. Il termine spigolare deriva dal vecchio testamento e si riferiva all’abitudine degli affamati che andavano nei campi e prendevano quello che era rimasto. Oggi le cose sono cambiate, da allora. Adesso la spigolatura è un po’ diversa e ci sono leggi che entro certi limiti la permettono. In diversi paesi sono i volontari a raccogliere il cibo per gli affamati. Chi lo fa, oltre per lo scopo benefico, sente il desiderio di avere un contatto diretto con la natura, sporcarsi le mani nei campi e avere un ruolo nel sistema alimentare. Si crea in questo modo anche un legame con il luogo da cui proviene il cibo.

A livello domestico, e quindi da parte del consumatore finale, invece cosa si può fare? Basta seguire delle semplici regole di buon senso:

  • verificare attentamente cosa occorre comprare in base a ciò che manca in frigo e dispensa;
  • verificare periodicamente le scorte alimentari disponibili, consumando i cibi con la scadenza più vicina;
  • pianificare la spesa in base alle esigenze a lungo e breve termine per evitare soprattutto l’acqisto di articoli non indispensabili;
  • organizzare bene il cibo in base alla deperibilità e alle indicazioni date in etichetta per una migliore conservazione;
  • se avanza cibo per qualsiasi ragione ed è mangiabile, si può donare a conoscenti, vicini di casa o alle organizzazioni che lo raccolgono per poi distribuirlo alle persone indigenti;
  • alcuni alimenti possono essere impiegati diversamente per la pulizia della casa e personale;
  • avanzi e ingredienti sfusi possono diventare protagonisti di ricette di riciclo creative e veloci.

Conclusione

Dobbiamo iniziare a pensare che sprecare il cibo sia inaccettabile: si tratta di una questione morale e di un atteggiamento culturale. Ci sono tante soluzioni che ci permettono di ridurre lo spreco di cibo:

  • il freezer è un ottimo alleato: si può congelare praticamente tutto e si può fare all’ultimo momento, quando si pensa che non si riuscirà a mangiare qualcosa;
  • se si fa la spesa solo una volta a settimana, si possono pianificare i pasti, fare una lista della spesa dettagliata e poi attenersi alla stessa durante gli acquisti;
  • si può comprare meno e più spesso e prendere solo quello che serve;
  • preparare i pasti in base a quello che abbiamo e non a quello che ci va.

Non ci vuole una rivoluzione completa rispetto a come trattiamo il cibo.

Possiamo gestire lo spreco di cibo.

Possiamo fare qualcosa di concreto e possiamo farlo da subito.

Fonti:

https://www.bcg.com/publications/2018/tackling-1.6-billion-ton-food-loss-and-waste-crisis

Baldwin G. Just eat it. Canada, 2014

FAO. Global food losses and food waste – Extent, causes and prevention. Roma, 2011

FAO. Save food for a better climate. Food and Agriculture Organization of the United Nations. Roma, 2017

HLPE. Food losses and waste in the context of sustainable food systems. High Level Panel of Experts on Food Security and Nutrition of the Committee on World Food Security. Roma, 2014

Lipinski B et al. Reducing food lossand waste. World Resources Institute. Giugno 2013

Parfitt J et al. Food waste within food supply chains: quantification and potential for change to 2050. Phil. Trans. R. Soc. B(2010)365, 3065–3081

Stenmarck Å et al.  Estimates of European food waste levels. European Commission (FP7), Coordination and Support Action – CSA. Stockholm, 2016.

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